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Sicilitudine| teste di moro

Tempo di lettura: 4 Minuti

In un tempo e in un luogo incerto, come bendato, vengo rapito da un ticchettio di scarpe sul pavimento, scarpe da uomo. Il suo passoè costante, pienoe lentoquasi voglia godersi in pieno la camminata. Il suono delle scarpe sul marmo riecheggia nello spazio: un corridoio largo e fiero, grande e luminoso e imponente. L’uomo sembra non accorgersi di me ma ad un tratto il rumore si spezza. L’uomo si ferma e ruotail suo corpo verso la finestra alla sua sinistra. Il silenzio improvviso è quasi vibrante. Prende dalla tasca una sigaretta. La guarda e l’accende con un fiammifero.
Poi, il suono dell’aspiratae del tabacco che brucia, l’odore e la presenza di fumo attorno al volto dell’uomo che si gira, notando la mia presenza. L’uomo continua il suo passo scandito, lo seguo curioso. Vengo accecato dalla luce del solee mi trovo immerso in un campo di grano. Arido è il caldo. Il pomeriggio sfoggia i suoi colori in pienezza. L’uomo passando sfiora il campo, lo conosce e lo ama. Solo natura.
Cammina ancora a lungo quell’uomo e ad un tratto si ferma.
Immersi nel campo frammenti di uno studìolo:una scrivaniadi legno scuro, essenziale e lineare. Una sediacon lo schienale arcuato e la seduta forata. L’uomo accarezza la sedia, la sposta e si siede, sembra non vedermi più. I suoi occhi sono vivi e vispi e sembra che non smetta mai di pensare. Ha gli occhi buoni, intelligenti, malinconici e consapevoli. Si sente a suo agio a contatto con la terra, con la natura circostante. La conosce la natura, conosce quello che c’è oltre quel campo.
Si alza d’improvviso un lieve vento.
Lui accende ancora una sigaretta e la fuma poggiando il gomito sulla sedia, si mette comodo. Stavolta sono certo che stia pensando a qualcosa. Le sopracciglia fanno quasi per incontrarsi creando una ruga. Sembra un momento raccolto e penso quasi di essere entrato per caso in un suo mondo parallelo.
Chiudo gli occhi godendo del calore del sole sulle palpebre, sento rumore di ali di carta.
Apro gli occhi e attorno all’uomo si posano e volano animali di carta. Stranito mi avvicino e lui non mi vede. Gli animali sono vivi, ma sono di carta: carta di poesie, carta di giornale, carta di atti e sentenze, carta di libri. Lui sta bene è sempre più a suo agio. Accenna un sorriso.


« Crediamo di vivere, di esser veri, e non siamo che la proiezione, l’ombra delle cose già scritte»


Più che una terra, la Siciliaappare come un coacervodi idee, caoticoe contraddittorio. Un concetto, una teoria che supera sfacciatamente la realtà di fatto da cui è scaturita e ne diventa prepotentemente l’ambascia – sì tale è la prepotenza da mascherarne, da mistificarne confini e caratteri, offrendo al mondo una sorta di novella Atlantide, perita sotto le sue stesse colonne e pur tuttavia splendente nella sua effimera esistenza fantasmagorica. – La Sicilia dei mitiè ancora un mito e da ciò trae linfa vitale, nel bene e nel male della sua fama.
La condizione di isolano, o meglio di siciliano, è stata descritta in molti modi, quasi che abitare questo brandello di terraimmerso nel Mediterraneo e appena legato, con disinteresse, al resto del mondo terreno per il tramite di un labile contatto di punte, sia di eccezionale ed esclusiva natura.
Sicilitudinela si chiama, e benché il vero autore di questo termine sia il pittore e poeta palermitano Crescenzio Cane, è a Leonardo Sciasciache si deve la fama di questo concetto. Il saggio d’inizio della raccolta La corda pazza, scritta da Sciascia nel 1969, si chiama proprio «Sicilia e sicilitudine» ed è inevitabile legare tale termine ad uno straordinario senso di chiusura, di prigionia volontaria, gelosamente rivendicata e tuttavia struggente, quasi che la solitudine sperimentabile in questa terra circondata dal mare abbia caratteri che non è possibile provare in altre situazioni.
Sicilitudinecome una sorta di malattia, di piaga, di maledizioneche pervade e colpisce gli abitanti di questa terra enigmatica e dalle tinte radicali. Sciascia è stato attento osservatore dei fenomeni che costituiscono l’anima sorniona della Sicilia – e non solo della mafia, che costituì solo uno dei tanti aspetti affrontati nelle sue opere -, e non è difficile trarre dalle sue parole alcuni spunti, immagini, suggestioni che ne descrivano chiaramente i colori, i materiali.
In “A ciascuno il suo” così si conclude il dialogo tra il vecchio professor Roscio e il professor Laurana:– Il vecchio gli porse la mano, disse «È un problema» e forse si riferiva al delitto, forse alla vita.
Se si dovesse ricercare un punto in cui il concetto di sicilitudine trovi la sua migliore espressione, questo potrebbe essere un candidato. Non v’è espressione in cui più efficacemente viene intesa la tendenza al non risolto, al gusto dell’enigma, alla bellezza dell’insoluto e del sospeso; il fatalismo siciliano(quello per cui, come lo stesso Sciascia fa notare, non è neanche contemplato il futuro come tempo verbale del dialetto) trova qui la sua più superba esaltazione.
Ciò che conta non è la soluzione ma la domanda, la condizione di eterna tribolazione esistenziale; e che sia il trepidare delle donne di Trezzaall’impiedi sulla scogliera, in attesa di notizie sul viaggio della Provvidenza; che sia il sorriso enigmatico del marinaio di Consolo; che sia la ronda della sentinellache, di torre in torre, scruta il mare in attesa del vascello saraceno o della scorribanda normanna, i confini isolanidella Sicilia hanno forse educatoil suo abitante ad un’eroica solitudine di necessità, a quella diffidenza e allo stesso tempo consuetudine al disastro da distruggere il bisogno della soluzione. Ciò che il siciliano si chiede, tutto preso dalla sua sicilituine nella sua terra di passaggio, di rapina, di radici, di morte e rinascita, è il senso del turbinare di una storia che, a conti fatti, si rivela fatta sempre dalle stesse carte.
Ma la Sicilia è la propaggine di un mondo intero, ne è il cuore ed è anche un mito e un simbolo. Ogni umanità è passata dalla sua terra, ne ha preso i frutti e lasciato nuovi semi. Ogni umanità ha dunque il diritto di specchiarvisi dentro e ricercare la domanda della propria sicilitudine.

Foto: “Parco di Morgantina”, Aidone (EN). Simone Lo Castro PH
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